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Gaspare De Caro e Roberto De Caro: “Sul coraggio di partire. L’orizzonte necessario di Alberto Beneventi.”

Dal catalogo della mostra presso la Libreria Cardano a Pavia (2005).

 

Cade dal ramo un pizzico di neve. Fra un attimo diventerà valanga. Vladimír Holan

Della pittura di Alberto Beneventi – nato nel 1950 a Pavullo nel Frignano, sull’Appennino modenese, dove da sempre vive e dipinge – è stato scritto che «anche quando è più convulsa e furente, rimane pur sempre, nella sostanza, figurativa perché parte dalla realtà, dalla contemporaneità, dalla natura, e là ritorna […] pittura figurativa contemporanea»1. La definizione è intelligente, e per certi aspetti puntuale, ma risente in apprezzabile misura del limite intrinseco alle catalogazioni dei fenomeni d’arte, avvertibile soprattutto quando l’autore, com’è qui il caso, non si accrediti da sé in specifiche correnti; quando rifugga dai déjà vu di stemperate avanguardie o dai vacui modernismi à la page che fioriscono nel campo dei miracoli della critica che può; quando nemmeno si presti, l’ingenuo, all’innocua e proficua polluzione mediatica di papi agonizzanti, tricicli vaganti e fantocci penzolanti.

È che di Beneventi è impossibile eludere il discorso, illegittimo disinnescarne la tensione etico-politica risolvendola nell’ambito di un pur raffinato e innovativo specifico pittorico. Naturalmente non si tratta di spiegare – poiché i quadri, come ogni cosa che davvero importi, non sopportano didattiche e didatti –, ma di cercare di capire, di seguirne i temi, le urgenze, i giudizi. Non è pensiero debole, quello di Beneventi. Tutt’altro. Al centro c’è di nuovo l’uomo (non la natura). Della consapevolezza della tragedia esistenziale si parla come di una possibilità: un antidoto ai carmi esiziali della religione, alle magnifiche promesse del Lavoro e dell’Ordine, alla democratica sollecitudine dell’acciaio umanitario. Ed il pittore è eloquente coi modi dell’arte sua:gesto che si fa materia nello scavo crudele dei meandri torbidi della mente, alla ricerca di verdi sempre più sordi (la serie delle Paludi), o nella scoperta di incavi apparentemente sereni nei più luminosi limini cromatici di acquitrini tarkovskijani (i Delta); o che scivola tra acrilici e smalti, su carta e su tela, risplendendo drammatico nella galassia blu di cieli squarciati da saette policrome, ad ammonire che Ormai è notte lungo la via del mare, che non s’ha d’attendere piegati L’arrivo della notte nel bosco. Il tempo che rimane è poco, ma c’è, non va sprecato. È tempo di partire, perché siamo perduti: cambiare, la sola speranza. Sono in simbiosi con l’opera i titoli di Beneventi, anzi ne sono parte integrante: occorre tenerne conto. Spesso si ripetono per piccoli gruppi di quadri nei quali il soggetto è sviscerato, esaurito, impossibilitato a qualunque ipotesi di serialità. Senza alcuna intenzione diegetica, qui in ogni caso del tutto fuori luogo, è possibile mettere a fuoco nei lavori del pittore alcuni Leitmotive – tematiche che spesso si intersecano, si sovrappongono, confliggono nel medesimo quadro. Proviamo ad elencarli in ordine cronologico, in abbinamento ovviamente non esaustivo e di certo un po’ arbitrario (con l’avvertenza che, come si è detto, le opere con il medesimo titolo possono essere più d’una e in anni diversi):

NATURA/MENTE DELL’UOMO: Arido, 2002; II tronco nello stagno gelato, 2002; Palude, 2002/3; Cielo stellato, 2003; Delta, 2003; Lo stagno gelato nel bosco, 2003; Paesaggio 2003/4.
– NATURA/TEMPO DELL’UOMO: Ai margini del boscoverso sera, 2002; II sole di luglio nella pineta, 2002; L’arrivo della notte nel boscoIl tempo che rimane, 2003; Ormai è notte lungo la via del mare, 2003; Paesaggio d’estate, 2003; L’arrivo della notte nel borgo, 2004; Paesaggio d’inverno, 2004; Papaveri di notte, 2004; Papaveri di notte. Omaggio a Mario Schifano, 2004; Il cielol’orizzonte, il mareOmaggio agli uomini migranti, 2004/5; Campi di grano al crepuscolo, 2005.
– PAURA: Il tronco nello stagno gelato, 2002; Lo stagno gelato nel bosco, 2003; Il cielol’orizzonteil mareOmaggio agli uomini migranti, 2004/5.
– SOLITUDINE/VIAGGIO/INCONTRO: Periferia al crepuscoloÈ tempo di partire, 2003;È tempo di partire, 2003/4; Sera d’estateI lampioni della strada che porta al mio paese, 2004; Il cielol’orizzonteil mareOmaggio agli uomini migranti, 2004/5; Interno con finestraIn casa dell’albanese, 2005.
– PIETAS: Fiori rossi. Omaggio a Chaïm Soutine, 2003; Foglie secche, 2003; Il cielo,l’orizzonte, il mareOmaggio agli uomini migranti, 2004/5; Interno con finestraIn casa dell’albanese, 2005.
– CASA: Aiuole in periferia di notte, 2003:LivornoIl cielo sopra le case del porto, 2003; Periferia al crepuscoloÈ tempo di partire, 2003; Aiuole in città di notte, 2004: L’arrivo della notte nel borgo, 2004; Sera d’estateI lampioni della strada che porta al mio paese, 2004.

Quella che abita le tele di Beneventi è una natura lucrezianamente imperturbabile, eppure è dell’uomo. Sprigiona dalle sue paure, dall’irreversibilità del tempo che divora la vita, dalla coscienza che se non c’è un dio che gioca a dadi con l’universo l’inferno è opera nostra, è inferno sociale: prevaricante, cannibale, genocidiario. È l’abisso del denaro misuratore di esistenze, divoratore di sommersi, consolazione dei salvati. È la geenna degli eserciti, delle frontiere, dello sfruttamento. Per questo è necessario partire, andare all’incontro di una nuova umanità: il nomadismo dei perduti è l’unico orizzonte morale – e politico perché morale –, altro non si dà. Beneventi lo dice nell’impressionante sintesi di alcuni quadri intitolati Il cielo, l’orizzonte, il mare.Omaggio agli uomini migranti. Scrive al riguardo Roberto Armenia:

L’occhio che guarda è quello del migrante clandestino sul barcone, di notte, in vista della costa. Sopra e sotto, cielo e mare, sono elementi ostili. In quei momenti, anche se non c’è tempesta, la natura non è mai né benigna né consolatrice. La sola speranza risiede in una sottile, offuscata, linea luminosa all’orizzonte. Perché là stanno gli uomini. E solo tra di loro è possibile, se si è fortunati, trovare un po’ di conforto e solidarietà. In altro, comunque, ora come sempre, non si può sperare2.

Ma anche l’occhio che dipinge è clandestino, poiché, come recita il Talmud, l’uomo deve stare con i perseguitati, non con i persecutori (epperò nemmeno con gli indifferenti, occorre aggiungere a riprova della reticenza dei sacri testi). Ed è proprio dalla fraterna identificazione con chi subisce le ingiurie del prossimo (non della natura: quella viene dopo) che scaturisce straordinariamente minaccioso, a fagocitare tela come fosse vita, il turgore melvilliano di quei cieli e di quei mari attraversati dalla precaria luce dell’orizzonte. Né si può dimenticare, nell’esegesi dell’arte di Beneventi, il sentimento immanente della pietas: lezione grande di Rembrandt, di Goya, di Courbet, ma soprattutto di Chaïm Soutine, riferimento costante del pittore pavullese, che gli rende esplicito omaggio con i Fiori rossi, rifacendo a suo modo i Gladioli, così come il geniale ribelle di Smilovitchi aveva ripreso Il bue squartato. Fiori recisi, di una bellezza struggente, in cui la vita lotta fino all’ultimo e fino all’ultimo si afferma. Poi se ne va, ma lascia per sempre il segno. E c’è vita anche nelle cose, quelle toccate dagli uomini, come nei poveri oggetti di un recente, bellissimo quadro di malinconica umanità: Interno con finestra. In casa dell’albanese. Le sedie spaiate, il tavolo, il canterano con specchiera respirano contornati di giallo e dicono di noi cose che non dovremmo dimenticare, se vogliamo fissare l’azzurro della finestra. Beneventi ricorda tutto, per lui la memoria è conoscenza. Un giorno si è messo a fotografare l’esterno di vecchie case abbandonate dell’Appennino. Particolari dei muri, ferite dell’intonaco, chiodi remoti. La storia degli uomini è passata di là, tremenda a volte. La pietra ne è rimasta incisa: le foto, splendide, raccolgono la testimonianza. In attesa di diventare quadri.

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1Roberto Armenia, una pittura vibrante che parla della condizione dell’uomo, nel catalogo della mostra Alberto Beneventi. Emozione del segno e del colore, Galleria d’Arte Renzo Cortina, Milano 13-30 ottobre 2004, Adac-Arte, Modena 2004.

Ibid.